Prima Prova Maturità 2019: tema su Brexit ed Europa - Studentville

Prima Prova Maturità 2019: tema su Brexit ed Europa

Prima Prova 2017 tema d?attualità svolto sulla Brexit, l?uscita del Regno Unito dall?Unione Europea, utile per lo scritto della Maturità.

PRIMA PROVA 2019: BREXIT TEMA DI ATTUALITÀ SULL’EUROPA

La maturità 2019 ti tocca a partire da domani, quindi è bene iniziare a prepararsi! La prima prova è quella teoricamente più semplice da affrontare, ma l’ansia e la mancanza di argomentazioni possono giocare un brutto scherzo. In più, quest’anno le tipologie di traccia sono cambiate, quindi c’è uno scoglio in più da superare. Per svolgere la prova di italiano, in particolar modo se vuoi cimentarti nel testo argomentativo o nel tema d’attualità, è fondamentale restare aggiornato su tutti gli eventi più importanti che sono accaduti negli ultimi anni, i quali potrebbero essere scelti dal Miur e inseriti come tracce nella prima prova. La Brexit è un tema caldo: termine coniato dalla stampa inglese per definire l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Segue sulla Brexit il tema svolto che potrebbe esserti utile come traccia in vista della prima prova di maturità.

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BREXIT: TEMA DI ATTUALITÀ SVOLTO PER LA PRIMA PROVA MATURITÀ 2019

Ecco di seguito il nostro Brexit tema per la traccia di attualità svolta come esempio, indicando cause e conseguenze del referendum britannico del 23 giugno 2016.

Il 23 giugno 2016 è una data che resterà nei libri di storia: per la prima volta, uno stato dell’Unione Europea ha deciso di lasciare l’organizzazione sovranazionale, segnando una forte battuta d’arresto nel processo d’integrazione europea che andava avanti dalla firma del Trattato di Roma nel 1957. Con il termine Brexit, infatti, la stampa britannica ha voluto indicare l’uscita del Regno Unito dall’UE, scelta determinata tramite referendum popolare.

Il popolo britannico, chiamato alle urne a giugno scorso, ha deciso di allontanarsi dall’Unione Europea. Il referendum, che ha visto un’affluenza del 72,2%, ha registrato la vittoria del fronte del Leave, favorevole alla Brexit, con il 51,89% dei voti, contro il 48,2% di preferenze per restare in UE. Un risultato di difficile previsione dal momento che nelle settimane precedenti al referendum i sondaggi davano i due fronti quasi a pari merito e ben pochi si aspettavano la vittoria del Leave sul Remain.

Un voto che non ha solo destabilizzato l’Unione Europea, ma che ha creato grandi fratture interne. Mentre Londra, la Scozia e l’Irlanda del Nord hanno votato in larga maggioranza per la permanenza nell’Unione Europea, nel nord dell’Inghilterra e in Galles ha dominato un forte pensiero antieuropeista. Subito dopo il voto, il Primo Ministro britannico David Cameron, che aveva indetto il referendum ma aveva sostenuto la campagna a favore del Remain, ha deciso di dare le sue dimissioni e di affidare la guida del governo a Theresa May, precedentemente a capo dell’Home Office (Ministero degli Esteri britannico). Il nuovo premier ha il compito di portare avanti le negoziazioni con Bruxelles per determinare le condizioni di uscita del Regno Unito dall’organizzazione.

Prima di procedere con le conseguenze della Brexit e i possibili futuri scenari che si delineano all’orizzonte, è doveroso comunque fare un breve excursus per capire le cause che hanno portato a tale decisione. Il Regno Unito ha sempre avuto una posizione particolare all’interno dell’UE: entrato con referendum popolare nel 1973, insieme a Irlanda e Danimarca, il Paese è lo Stato membro dell’Unione ad avere usufruito maggiormente degli opt-out, cioè delle clausole di esclusione da politiche comunitarie favorevoli a una maggiore integrazione europea. Londra non ha così adottato l’euro, non partecipa al Trattato di Schengen, alla cooperazione in materia di Giustizia e affari interni e si è esclusa dall’essere vincolata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che è diventata legalmente vincolante nel Trattato di Lisbona.

Il Regno Unito, difatti, interessato al libero mercato e al libero scambio, ha sempre adottato una posizione di critica nei confronti della libertà di circolazione delle persone, situazione che si è andata ad aggravare con la crisi economica che negli ultimi anni ha colpito il mondo occidentale. Segnali di flessione si sono registrati anche nel Regno Unito, ma ad essere aumentata esponenzialmente è l’immigrazione proveniente da altri Paesi UE, quali Italia, Spagna e Portogallo e Polonia. A destare poi particolare apprensione in Gran Bretagna è stata la fine delle misure ristrettive alla libertà di circolazione per cittadini rumeni e bulgari. Ha iniziato così a crearsi un forte vento antieuropeista, guidato dal partito nazionalista UKIP e dal suo leader Nigel Farage, che ha fatto della retorica sull’immigrazione incontrollata il suo punto di forza.

La vittoria dello UKIP alle elezioni per il Parlamento Europeo nel 2014 ha fatto preoccupare il governo conservatore guidato da David Cameron che ha attuato una serie di riforme per restringere l’accesso dei migranti europei ai sussidi pubblici erogati dallo stato britannico. È stata in gran parte la paura di un sopravvento dello UKIP alle elezioni nazionali che ha spinto nuovamente Cameron, nel 2015, a promettere che avrebbe indetto un referendum popolare sull’uscita del Regno Unito dall’UE se fosse stato nuovamente confermato come Primo Ministro. Ottenuta la vittoria, il premier ha indetto il referendum, ma abbracciando la causa del Remain e cercando di strappare un accordo vantaggioso per i cittadini britannici dall’Unione Europea. Ciò non è però bastato, e il fronte del Leave ha comunque dominato.

Cosa succede adesso? È compito del governo di Theresa May richiedere all’UE l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, che disciplina le modalità di uscita di uno Stato membro dell’organizzazione. Secondo quanto previsto dall’articolo, Bruxelles e Londra avranno due anni di tempo per negoziare e raggiungere un accordo sulle condizioni di uscita del Regno Unito. Se l’accordo non fosse raggiunto, le trattative potrebbero durare più a lungo, ma solo se gli altri 27 stati danno all’unanimità il loro parere positivo per il proseguo delle negoziazioni.

Trattandosi di un unicum nella storia dell’Unione Europea, il futuro è piuttosto incerto. Le negoziazioni potrebbero portare a un accordo su modello della Norvegia, Islanda o Liechtenstein: questi tre stati non fanno parte dell’Unione Europea, ma dell’area di libero scambio. In questo modo il Regno Unito manterrebbe i vantaggi economici del mercato unico, ma dovrebbe accettare la libera circolazione delle persone, la cui limitazione è stata il punto su cui si è basata l’intera campagna del Leave.

L’ipotesi che Theresa May aveva iniziato a delineare era quella di una così detta “hard Brexit”, cioè tagliare i ponti con l’Unione Europea stabilendo un asse commerciale con gli Stati Uniti (soprattutto ora che Donald Trump è presidente) e introducendo severe limitazioni sull’accesso dei cittadini UE che vogliono andare a studiare e lavorare nel Regno Unito. Il governo britannico aveva anche dichiarato che avrebbe attivato l’art. 50 TUE entro marzo 2018.

Tuttavia, a inizio novembre 2016, l’Alta Corte britannica ha accettato il ricorso presentato a ottobre da Gina Miller, un’imprenditrice di 51 anni, secondo cui la decisione del primo ministro Theresa May di invocare l’articolo 50 alla fine di marzo 2018 senza richiedere l’approvazione del Parlamento sarebbe stata incostituzionale. La Corte ha dichiarato che il referendum sulla Brexit è stato solo consultivo, e il governo non può procedere senza il voto favorevole del governo.

Si aprono quindi nuovi scenari interessanti, dato che il Parlamento britannico è in gran parte a favore del Remain. È comunque difficile pensare che la maggior parte dei parlamentari si esprima contro il voto popolare, ma senz’altro potrà fare pressione sul governo per adottare una linea di “soft Brexit”, più vicina alle istituzione europee e rimandando l’attivazione dell’articolo 50.

È ancora quindi troppo presto per dire cosa e come cambieranno i rapporti tra Regno Unito e Unione Europea, cosa cambierà per i cittadini europei a Londra e quanto questo voto di fatto inciderà sull’assetto europeo e internazionale. Tuttavia, la Brexit può e deve essere un’occasione per gli altri stati dell’Unione Europea e per le istituzioni UE per prendere coscienza delle contraddizioni che la cooperazione e l’integrazione comunitaria stanno incontrando. Oggi il sogno di costituire un’unione federale di Stati Europei sembra lontano più che mai, ma forse è sempre possibile invertire la rotta

Per prepararti, ecco altri temi svolti per la maturità 2019.

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