Risposte Seconda Prova Scienze Umane 2017: quesiti - Studentville

Risposte Seconda Prova Scienze Umane 2017: quesiti

Seconda prova Scienze Umane: soluzioni e svolgimento della traccia ufficiale Liceo delle Scienze Umane, indirizzo economico-sociale.

RISPOSTE SECONDA PROVA SCIENZE UMANE 2017: QUESITI

La seconda prova Maturità 2017 è terminata: tutti i maturandi, compresi quelli del Liceo Scienze Umane indirizzo economico-sociale, hanno affrontando il secondo scritto dell'Esame di Stato. Noi di Studentville abbiamo seguito la prova; di seguito troverete la soluzione ai quesiti che richiede la traccia del vostro indirizzo! Continuate a seguirci: in quest'articolo troverete news e indiscrezioni su tracce e svolgimenti!

Risposte Seconda Prova Scienze Umane 2017: quesiti

SECONDA PROVA MATURITÀ 2017: SOLUZIONI DEI QUESITI SCIENZE UMANE, INDIRIZZO ECONOMICO-SOCIALE

Ci siamo maturandi, eccoci sempre pronti a fornirvi il nostro aiuto. Di seguito troverete la soluzione ai vostri problemi odierni, o meglio, la soluzione ai quesiti che la traccia della seconda prova del Liceo scienze umane indirizzo economico-sociale richiede di svolgere. Eccole:

  • QUESITO 1: Ciclo economico

    Il ciclo economico indica le fasi alterne di espansione e di contrazione dell'attività economica di un paese, che appare da indici quantitativi globali, come il prodotto nazionale, o una variabile, come la produzione industriale o l'occupazione. La sua regolarità e le sue manifestazioni hanno persuaso gli economisti che il ciclo economico è un fenomeno tipico del sistema capitalista nato dalla rivoluzione industriale. Anche se i cicli sono irregolari, cioè che ripetono con caratteri diversi , si possono distinguere in: . cicli brevi (Kitchin) che durano dai 2 ai 4 anni e sono causati dalle variazioni delle scorte presso le imprese; . cicli propriamente detti (Juglar) hanno una durata dai 4 ai 10 anni ; . cicli lunghi (Kondratieff) durata dai 50 ai 60 anni e condizionano i cicli più brevi che si verificano durante il loro periodo. Lo studio della dinamica delle fluttuazioni cicliche richiede che vengano eliminati i fattori di disturbo che possono oscurare la reale meccanica del ciclo; sono costituiti dai fatti accidentali che sono di natura del tutto casuale e dai movimenti stagionali che hanno una durata più breve, mensile o giornaliera. Ogni hanno si verificano nel mese di dicembre notevoli aumenti nelle vendite. È possibile eliminare l'incidenza stagionale ed ottenere il dato destagionalizzato che permette di conoscere l'andamento reale del fenomeno. Schumpeter individuò nell'introduzione delle innovazioni tecnologiche nel processo produttivi la causa principale delle fluttuazioni di lungo periodo. Le innovazioni non si distribuiscono in modo uniforme nel tempo ma sono introdotte a grappoli dato che tendono a concentrarsi in determinati periodi. La loro introduzione ha ricadute che durano nel tempo fino a quando i nuovi beni saturano il mercato, a questo punto le imprese diminuiscono gli investimenti perché sono diminuite le prospettive di profitto. Inizia la fase recessiva del ciclo che ha termine solo con l'introduzione di altre innovazioni. Ha individuato 4 onde lunghe la cui espansione è legata all'introduzione della macchina a vapore, allo sviluppo delle ferrovie, dell'elettricità e dell'industria chimica e all'introduzione dell'automobile. La grande crisi del 1929/32 è la più nota per gli effetti devastanti, infatti negli Stati Uniti la produzione industriale si ridusse in pochi anni del 50%. La crisi esplose in tutti i paesi industrializzati ,negli stati uniti si manifestò con una rovinosa caduta della borsa avvenuta giovedì 24/10/1929 detto il giovedì nero. I fallimenti ebbero una brusca impennata. La disoccupazione raggiunse livelli insostenibili del 25% e l'indice dei prezzi cadde del 30%. La crisi estesa in tutta Europa si aggravò a causa delle politiche economiche adottate dai governi rigidamente applicato incapace di assicurare la liquidità ai pagamenti internazionali. Ogni paese pensò di limitare i danni della crisi svalutando la propria moneta e fissando limiti alle importazioni estere.

  •  Q UESITO 2: Cosa affermano gli economisti monetaristi al contrario di quelli keynesiani 

    I keynesiani sostengono che la domanda possa essere stimolata dalla politica fiscale e monetaria. Di conseguenza, quando l'output è al di sotto dell'output potenziale dell'economia (non si produce quanto si potrebbe), la banca centrale potrebbe inondare il sistema di moneta, in questo caso in uno schema IS-LM: ci sarebbe un eccesso di offerta di moneta > le famiglie si disferebbero dell'eccessiva liquidità comprando titoli > salirebbe il prezzo dei titoli per l'aumento della loro domanda > scenderebbe il tasso di interesse (relazione inversa con il prezzo) > le imprese acquisterebbero più beni d'investimento (tasso basso) > aumenterebbe l'output.
    Cioè ci sono effetti reali, perchè si produce un aumento dell'output. Infatti nel breve periodo non c'è perfetta flessibilità di prezzi dei beni e dei fattori produttivi.

    I monetaristi sono convinti del fatto che l'equilibrio economico corrisponda ad un output naturale, determinato dal tasso naturale di disoccupazione.
    Un aumento della quantità di moneta in circolazione non avrebbe che l'effetto di aumentare il livello dei prezzi, di creare, dunque, inflazione.
    Difatti, se improvvisamente ci fosse più moneta, le famiglie si troverebbero con più liquidità da utilizzare per beni e titoli e questo produrrebbe un aumento di domanda che non può essere soddisfatta (abbiamo già output naturale), questo innescherebbe solo un aumento del prezzo di beni e titoli.

  • QUESITO3: Principi di tutela del lavoro presenti della Costituzione Italiana

    La Costituzione italiana riconosce al lavoro un ruolo costitutivo della comunità sociale e del suo ordinamento: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.” (art. 1 Cost.). Non solo, impegna le istituzioni repubblicane a promuovere le condizioni per cui ognuno possa, nell’ambito delle proprie possibilità, partecipare attivamente all’organizzazione del Paese: “ … É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” (art. 3 Cost.). Inoltre, la Repubblica “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.” (art. 35 Cost.), riconosce alle donne “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.” (art. 36), garantisce e tutela l’organizzazione sindacale (art. 39), garantisce il diritto di sciopero (art. 40). La legge 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” è, dopo la Costituzione, il riferimento legislativo più importante del diritto del lavoro e del diritto sindacale. Questa legge, meglio nota come lo Statuto dei lavoratori, regolamenta il potere organizzativo, direttivo e disciplinare dei datori di lavoro al fine di consentire la tutela della dignità, della salute, della riservatezza, della professionalità dei lavoratori. La prima parte dello statuto contiene le norme a tutela dei diritti individuali dei lavoratori; la seconda parte contiene le norme che limitano l’autonomia dei datori di lavoro; la terza parte contiene le norme sulla tutela dell’attività sindacale; le disposizioni finali sono volte ad impedire comportamenti antisindacali del datore di lavoro. Dopo la Costituzione e le leggi vengono i contratti collettivi nazionali di lavoro. Essi dettano le norme alle quale devono attenersi i datori di lavoro ed i lavoratori dal momento in cui stipulano un contratto individuale di lavoro. Lo Statuto dei lavoratori è un testo che ogni cittadino, sia datore che prestatore di lavoro, dovrebbe conoscere, anche perché è aperto da tempo un impegnativo dibattito sulla sua riforma.

  • QUESITO 4: Che ruolo ha lo Stato Italiano nel limitare la crescita della disoccupazione

    La recessione che il Paese sta attraversando ormai da 7 anni riflette l’effetto congiunto di diversi fattori che combinati tra loro hanno avuto conseguenze rilevanti. La conseguente caduta del PIL, più del 2% nel 2012, ha determinato una riduzione della domanda di lavoro, ma non di certo dell’offerta. Il mercato del lavoro è stato quello più colpito, con una perdita negli ultimi anni di circa 750mila posti che, secondo le stime, per essere riassorbiti richiederebbero una crescita economica superiore al 2%  all’anno nei prossimi dieci anni. Aspettativa quanto mai fantasiosa.
    E non è tutto. Se ci allarmiamo nel leggere che la percentuale di disoccupazione ha superato il 12% (il 13% se pensiamo solo all’occupazione femminile) dovrebbe ancor di più farci riflettere il fatto che l’entità delle perdite occupazionali è stata contenuta dalla riduzione delle ore lavorate per occupato e dalla flessione della produttività. CIG, la riduzione delle ore di straordinario e maggiore diffusione del part time (in particolar modo nella fascia femminile della popolazione) hanno frenato la perdita di occupati che avrebbe altrimenti raggiunto le 870mila persone. Quella del part time, intesa come scelta “involontaria” cioè di lavoratori che non hanno trovato altro impiego pur cercandolo o che hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro per il mantenimento del posto, è un dato che in Italia è superiore a quello di tutti gli altri paesi europei. Intanto l’offerta di lavoro continua da aumentare e non dipende solo dal fattore “giovani” – seppur il più colpito – e dal posticipo dell’età pensionabile, ma anche dall’aumento della “partecipazione”. Soggetti precedentemente non attivi hanno iniziato a cercare un lavoro, spinti della necessità di sostenere la propria famiglia in questo periodo di crisi. Un fenomeno che ha coinvolto in particolare la componete femminile. Donne che non lavoravano o che erano uscite dal mercato del lavoro tornano o cominciano a partecipare, spesso però in posizioni poco qualificate.
    Se nelle statistiche ufficiali al numero dei disoccupati affiancassimo anche quello degli inattivi ora alla ricerca, avremmo un quadro molto più ampio, ben 900mila persone circa. Un numero impressionate se si considera che è forza lavoro non utilizzata, che causa delle perdite sia economiche che umane. Il deterioramento umano di chi rimane fuori dal mercato è un danno individuale che comporta una perdita sociale, sia per le ridotte potenzialità di crescita sia per le esternalità negative nei rapporti sociali. Le misure da intraprendere, secondo la Raccomandazione, dipendono dalle caratteristiche del giovane e possono essere: reinserimento nel sistema della formazione e/o dell’istruzione, nel caso di early school leavers o di persone con scarsa qualificazione professionale; definizione di percorsi di inserimento personalizzati nel mercato del lavoro; interventi sui costi indiretti del lavoro; promozione della mobilità del lavoro; promozione di star-up.

MATURITÀ 2017: Rimanete aggiornati con le nostre risorse per le prove successive!

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