Saggio breve sulla Brexit Prima Prova 2018 - Studentville

Saggio breve sulla Brexit Prima Prova 2018

Saggio breve Prima Prova 2018 sulla Brexit: traccia svolta per l'Esame di Maturità sull'uscita del Regno Unito dall'UE.

PRIMA PROVA 2018: SAGGIO BREVE SULLA BREXIT

Stai cercando un saggio breve sulla Brexit che ti sia da spunto in vista della Maturità 2018? Essendo uno degli argomenti d’attualità più caldi dell’anno, è indicato tra i temi che potrebbero essere scelti dal Miur per la prima prova 2018 ed è possibile che la traccia relativa sia il saggio breve di stampo socio-economico. Per prepararti al meglio alla prova scritta di italiano, ti aiutiamo noi: di seguito troverai il saggio breve sulla Brexit svolto da noi per te.

Leggi anche la nostra maxi guida su Come si scrive un saggio breve

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SAGGIO BREVE SULLA BREXIT PRIMA PROVA 2018: TITOLO, DOCUMENTI E DESTINATARIO

Prima di procedere con lo svolgimento del saggio breve sulla Brexit, è necessario fare alcune considerazioni. Il saggio breve, a differenza di un tema d’attualità, presuppone che lo studente sostenga una tesi nell’introduzione del suo elaborato e prosegua argomentandola, analizzando fonti a suo sostegno e anche in disaccordo, per poi arrivare a una conclusione. In prima prova, il Miur, oltre all’argomento, ti fornirà anche tutta una serie di documenti che dovrai citare o inserire nel testo; per questo, il nostro saggio breve svolto ti sarà utile come spunto, ma dovrai poi adattarlo e personalizzarlo con i brani che conoscerai solo il giorno del primo scritto di Maturità 2018.
Fatta questa piccola parantesi, restano da indicare titolo e destinatario dell’articolo, che come saprai, sono necessari in ogni saggio breve.

  • Titolo: “Brexit: quale futuro per i cittadini UE nel Regno Unito?”
  • Destinatario: rivista di geopolitica

SAGGIO BREVE SULLA BREXIT PRIMA PROVA 2018: INTRODUZIONE

La parola Brexit è un termine giornalistico nato per indicare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Da quando, lo scorso 23 giugno, i cittadini britannici hanno deciso, tramite referendum popolare, di lasciare l’UE, si sta speculando molto su quali saranno gli accordi presi tra il governo di Londra e Bruxelles e come cambierà la situazione per i cittadini dell’Unione che abitano e vivono a Londra. Fare delle previsioni è difficili, ma sembra che chi già lavora in Gran Bretagna sarà tutelato.

TRACCIA SAGGIO BREVE SULLA BREXIT PRIMA PROVA 2018: SVOLGIMENTO

Il 23 giugno 2016, il popolo britannico si è espresso sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, e così come nel 1973 aveva deciso di aderire all’organizzazione sovranazionale, questa volta ha deciso di uscirne. Il referendum, infatti, ha visto un’affluenza del 72,2% e la vittoria del fronte del Leave, favorevole alla Brexit, con il 51,89% dei voti, contro il 48,2% di preferenze espresse da chi voleva rimanere in UE. È la prima volta nella storia dell’Unione Europea che uno Stato Membro decide di lasciare l’Unione e questo ha generato non poche preoccupazioni a livello di Unione Europea, ma soprattutto ha aperto un forte dibattito interno al Paese. Il voto di giugno ha infatti spaccato a metà il Regno Unito: mentre Londra, la Scozia e l’Irlanda del Nord hanno votato in larga maggioranza per la permanenza dell’Unione Europea, nel nord dell’Inghilterra e in Galles ha avuto la meglio un forte sentimento antieuropeista, complice anche una campagna dai toni violenti che ha individuato nell’Unione Europea e nella libertà di circolazione i principali problemi economici e sociali (come la crisi dell’NHS – il sistema sanitario nazionale – o il terrorismo) che il Paese sta affrontando.
David Cameron, che da Primo Ministro aveva indetto il referendum sulla Brexit come promesso in campagna elettorale per le elezioni politiche del 2015 ma si era pronunciato a favore del Remain (la mossa del refendum era più che altro una strategia per limitare la crescita del partito nazionalista UKIP), si è dimesso all’indomani del voto, lasciando le redini a Theresa May, che ha creato una nuova compagine di governo con l’ex sindaco di Londra Boris Johnson all’Home Office (il Ministero degli Esteri) e Dave Davis alla guida del nuovo ministero per la Brexit.
È compito del governo di Theresa May, infatti, richiedere all’UE l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea, che disciplina le modalità di uscita di uno stato membro dell’organizzazione. L’articolo prevede massimo due anni di negoziazioni per raggiungere un accordo tra Londra e Bruxelles sulle condizioni d’uscita del Regno Unito. Se l’accordo non fosse raggiunto nei tempi, le trattative potrebbero durare anche più a lungo, ma solo se gli altri 27 stati danno all’unanimità il loro parere positivo per il proseguo delle negoziazioni.
Tutti si stanno chiedendo cosa accadrà adesso, dato che non è mai successo che uno stato dell’UE decidesse di lasciare l’Unione Europea. La May, però, sembra avere le idee chiare: martedì 17 gennaio, parlando alla Lancaster House di Londra, il primo ministro ha dichiarato che il governo non accetterà nessuna soluzione che lasci “il Regno Unito metà fuori e metà dentro” l’UE, ma che è determinato a lasciare anche il mercato unico europeo per tornare ad avere pieno controllo sui confini e la circolazione delle persone. Tutto questo, tuttavia, mantenendo un rapporto di buon vicinato “e amicizia profonda” con i partner europei.
Cosa significa ciò? Sicuramente a questo punto è da escludersi l’ipotesi di un accordo su modello della Norvegia, Islanda o Liechtensterin: questi tre stati non fanno parte dell’Unione Europa, ma dell’aria di libero scambio, potendo quindi partecipare al mercato unico ma dovendo anche accettare la libera circolazione delle persone all’interno dei loro confini. L’ipotesi sostenuta da Theresa May è quella quindi una “hard Brexit”, cioè tagliare i ponti con l’UE e introdurre severe limitazioni sull’accesso dei cittadini UE che vogliono studiare e lavorare nel Regno Unito.
In particolare modo, possiamo forse aspettarci l’introduzione di un sistema di visti per i cittadini UE, severe limitazione ai sussidi pubblici, raddoppio delle tasse scolastiche per gli studenti europei e sanità a pagamento. Tuttavia, queste norme probabilmente non si applicheranno a chi già lavora e vive nel Regno Unito: è stata proprio Theresa May a garantire che i lavoratori europei in UK saranno tutelati, visto anche il gran numero di cittadini britannici che vivono in altri Paesi UE, come la Spagna.
Inoltre, c’è anche l’incognita della sentenza della Corte Suprema sul ruolo del Parlamento britannico nell’approvazione della Brexit. A inizio novembre 2016, infatti, l’Alta Corte britannica ha accettato il ricorso presentato a ottobre da Gina Miller, un’imprenditrice di 51 anni, secondo cui la decisione del primo ministro Theresa May di invocare l’articolo 50 alla fine di marzo 2017 senza richiedere l’approvazione del Parlamento sarebbe stata incostituzionale. La Corte ha dichiarato che il referendum sulla Brexit è stato solo consultivo, e il governo non può procedere senza il voto favorevole del governo. Il governo, però, ha fatto ricorso alla Corte Suprema che deve ancora esprimersi sulla questione.
Nel caso la sentenza venisse conferma si aprirebbero quindi nuovi scenari interessanti, dato che il parlamento britannico è in gran parte a favore del Remain. È comunque difficile pensare che la maggior parte dei parlamentari si esprima contro il voto popolare, ma senz’altro potrà fare pressione sul governo per adottare una linea di “soft Brexit”, più vicina alle istituzione europee e rimandando l’attivazione dell’articolo 50.

SAGGIO BREVE SULLA BREXIT PRIMA PROVA 2018: CONCLUSIONE

La Brexit è ormai una realtà e dobbiamo aspettarci un’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione Europea sia perché questa è la volontà del Governo britannico sia perché un atteggiamento troppo indulgente da parte di Bruxelles rischierebbe di creare un effetto domino in numerosi stati membri che stanno diventato insofferenti ad alcune politiche europee, soprattutto a causa della crescita di movimenti euroscettici e nazionalisti. Tuttavia, è impensabile che non si creino delle norme ad hoc per i cittadini UE che già vivono e lavorano a Londra e per i cittadini britannici che abitano in un altro stato membro dell’Unione. Fare delle previsioni certe è senz’altro difficile, ma speriamo che alla fine il buon senso e la comunione vincano sui protagonismi nazionalistici.

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